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Judging vs. evaluating

  26 marzo 2021 Banner prove zootecniche

Analisi movimentoDopo aver pubblicato un post su questo blog che riguardava il concetto di miglioramento animale in relazione alle manifestazioni cinofile – in particolare alle esposizioni c.d. di bellezza, ma non solo – ho ricevuto vari riscontri da parte di lettori (per lo più cinofili) che sostanzialmente rimangono perplessi di fronte al fatto che io non consideri valido il contributo di queste manifestazioni da un punto di vista del miglioramento zootecnico (perlomeno nelle condizioni in cui ora si svolgono).

 

Vorrei tranquillizzare gli amici cinofili che non auspico la distruzione delle manifestazioni cinofile ufficiali e dei loro enti organizzatori, solo ritengo che nelle stesse si compiano determinate azioni invece di credere che se ne facciano altre.

 

Cerco di spiegare più diffusamente il mio pensiero partendo dal presupposto che «giudicare» e «valutare» non sono concetti identici.

 

Il ruolo del giudice nella cinofilia ufficiale (in Italia li chiamano appunto «esperti giudici» – non nel senso colloquiale, cioè che abbiano sempre prolungata esperienza, ma nel senso peritale del termine – è molto simile a quello del giudice nel diritto. Entrambi hanno una funzione c.d. ermeneutica nell’interpretare disposizioni, degli standard nel primo caso e di norme legislative nell’altro. Non spetta ai giudici, in entrambi i ruoli – decidere se la norma che applicano sia corretta o meno, sia da un punto di vista strutturale che funzionale. Semplicemente cercano di applicarla, secondo le proprie conoscenze e i regolamenti procedurali che ne disciplinano l’applicazione.

 

Ruolo diverso e rivestito dal valutatore che di solito è un biologo sperimentale – nel senso che applica procedure derivate dal metodo scientifico sperimentale – e determina qualità e potenzialità in base a conoscenze tecnico-scientifiche, per lo più utilizzando misurazioni, procedure, attrezzature e strumentazioni operative, senza limiti di tempo contingentati come nelle manifestazioni.

 

Nel giudice quella che viene impiegata è la terminologia cinognostica con funzione descrittiva rispetto alla ritenuta rispondenza del soggetto sottoposto a giudizio – rispondenza personale e sempre soggettiva – alle norme  – sempre interpretate in base alle proprie conoscenze e alle disposizioni regolamentari per la loro applicazione procedurale – disposte dallo standard ufficiale della razza. Come si saprà la cinognostica è quell’insieme di tecniche che si occupano di esaminare e descrivere le caratteristiche «fenotipiche» cioè la morfologia – esteriore, visibile – di un soggetto appartenente a una razza canina (e talvolta, oltre alla sua conformazione anche al movimento visualizzato o al carattere esternato, se lo standard ne fa menzione). La finalità ultima è quindi il rispetto dello standard (percepito).

 

Il valutatore utilizza invece la morfologia funzionale e le tecniche della biologia strumentale (c.d. biologia sperimentale, nel senso che utilizza il metodo scientifico sperimentale). La ricerca è quella del soggetto che risponde in maniera più efficiente ed efficace nello svolgimento di quello che è lo «scopo della razza» per la quale è stata creata la razza stessa e sulla quale viene attuata una selezione di miglioramento (della funzione). Un ulteriore finalità è determinare quale siano i requisiti strutturali per un miglioramento della performance. La finalità è quindi il rispetto e l’eventuale miglioramento della funzione (performance) richiesta dallo scopo della razza.

 

Concludo con un aneddoto personale, per illustrare quella dicotomia che sembra non essere molto presente tra i convincimenti dei cinofili che partecipano alle manifestazioni degli enti cinologici ufficiali.

 

Alla presentazione di un mio libro di cinotecnica, ormai svariati anni fa – presso la sede dell’Enci a Milano – erano presenti molti giudici. Mentre stavo sottolineando il pericolo di una selezione basata esclusivamente sul giudizio morfologico (cinognostico), un famoso e anziano all rounder – ora scomparso – fece questa battuta a voce alta: «Eh, ma molte razze le abbiamo salvate noi, altrimenti non esisterebbero più …».

 

Nel prosieguo della presentazione, subentrò un altro autore della mia stessa casa editrice, che a sua volta presentò un suo libro, mentre io andai ad accomodarmi tra il pubblico. Il giudice che aveva esternato il suo ruolo di «salvatore delle razze» mi fece cenno di sedermi vicino a lui dove c’era un posto libero. Dopo un po’, sottovoce per non disturbare la presentazione in corso, mi ribadì sussurrandomi la sua convinzione di quello che aveva espresso ad alta voce, al ché io dissi: «È sicuro di avere salvato quelle razze? Non è che per caso ha salvato la «sagoma» di quelle razze?»

 

Il giudice mi guardò perplesso ben conoscendo la differenza strutturale che esisteva fra soggetti della stessa razza sottoposti alla sola selezione morfologica (alle esposizioni) rispetto a quelli sottoposti alla sola selezione prestazionale (alle prove di lavoro). Non ebbi una risposta di rimando, ma notai una espressione interdetta e pensierosa. A quali conclusioni possa poi essere arrivato ormai non lo saprò più.

 

In definitiva, credo che un buon allevatore debba decidere quale sia il suo obiettivo primario: la morfologia o la funzione; diversamente «sforna solo soggetti per la vendita», come diceva un vecchio saggio cinologo.