Libri & Natura Il sito di Mario Canton

Ria

  18 febbraio 2020 Banner Ria

Ria… Fatalmente l’amicizia con l’imolese (ne parlo altrove) produsse il grande evento.

 

Eravamo studenti (io e la mia ragazza) dalle esigue risorse finanziarie, eravamo appassionati di levrieri e non potevano permettercene uno, avevamo un amico che allevava levrieri: cosa mai poteva succedere?

 

Esatto! Lui ci regalò il nostro primo levriero (o meglio, il nostro primo Greyhound).

 

Ria – così l’aveva confidenzialmente ribattezzata per ovviare al suo chilometrico nome ufficiale: Esperiafulva (oltre all’affisso) – discendeva da parte di padre da, niente-popò-di-meno-ché, Patricia’s Hope, tramite il nonno Hannibal von Venusberg e il padre Quinn Prince of Starlight, allevamento quest’ultimo di Mario Salamoni, un altro famoso levrierista svizzero conosciuto tramite lui (sempre l’imolese).

 

Patricia’s Hope era a quei tempi l’unico Greyhound che avesse vinto due volte di fila il Derby inglese di corsa – 1972 e 1973 – nell’allora ancora esistente vecchio cinodromo londinese di White City – che fu demolito fra il 1984 e il 1985 – e l’unico ad aver vinto nella medesima stagione i tre derby di Inghilterra, Scozia e Galles.

 

Da parte di madre, Ria discendeva da un altrettanto singolare allevamento statunitense di linee da expo – completamente diverse nella sagoma dai Greyhound che si potevano allora vedere nelle expo europee. L’allevamento era «Ryal» e la madre di Ria – che si chiamava Macaque, ma che tutti chiamavano Katie (non chiedetemi perché, forse solo il suo allevatore lo sa) – era la famosa femmina oggetto dei miei equilibrismi all’expo di Padova, di cui parlavo in precedenza (vedi nota in calce).

 

Ria era la prima di quattro cuccioli enormi (due maschi e due femmine) nati da una femmina primipara e fu estratta a fatica con il forcipe dal veterinario perché era talmente grossa che non ne voleva sapere di uscire dalla madre.

 

Il forcipe produsse una intaccatura sulla canna nasale che la escluse definitivamente dalla carriera espositiva ma che non gli dava alcun disturbo a livello fisiologico, sicché divenne il nostro perfetto primo levriero.

 

Ria era dotata di un fisico eccezionale; macinava in pista tempi da record prima ancora di terminare lo sviluppo. Era di un carattere estremamente estroverso che solo successivamente divenne più tranquillo – tipo levriero appunto – e si conquistò l’affetto di noi tutti, famiglie allargate comprese.

 

La portavo a «sgroppare» sull’argine del fiume Brenta e osservarla in corsa a pieno galoppo – mentre scivolava fluida come fosse su una rotaia a levitazione magnetica – rimane uno degli spettacoli più belli a cui abbia assistito nella mia vita.

 

In effetti quando correva era più il tempo che passava in aria che quello in cui toccava con le zampe per terra, per cui sembrava più una freccia che un cane in corsa.

 

Fu un bel periodo di levate mattutine per accudirla e fare le pulizie, cosa a cui mi ero impegnato solennemente con i miei genitori per avere il permesso di portarla a casa. Giocavo con lei e mi divertivo un sacco, ma ad un tratto dovetti mollare tutto perché ero stato chiamato per il servizio militare di leva, che avevo rimandato sino all’ultimo per continuare gli studi universitari.

 

E così dovetti partire lasciando Ria ai miei genitori.

 

———

 

[da Lei, io … e i cani, ACE, 2018]