Libri & Natura Il sito di Mario Canton

Per capire non basta ascoltare, bisogna studiare

  16 febbraio 2020 Aula con lavagne

Sigillo UniPDQuesto è un aneddoto che racconto spesso agli inizi dei seminari che tengo, specie quando vedo facce piene di aspettativa il sabato o la domenica mattina sinceramente convinte di apprendere qualcosa di «nuovo» sui loro amici a quattro zampe.

 

Per cercare di far comprendere la differenza fra ascoltare e capire, racconto questa scenetta a cui ho assistito nella mia gioventù assieme a quella che allora era la mia ragazza e ora mia moglie (con cui sono insieme da più di 40 anni).

 

Di solito l’inizio è di questo tenore …

 

Buongiorno a tutti e grazie per essere qui.
Mi presento.
Mi chiamo Mario Canton e mi occupo di cinotecnia per interesse personale.
Vorrei precisare che non rivesto in cinofilia alcun ruolo istituzionale in qualsivoglia organizzazione, società o ente ufficiale.
Sarò ligio alla tradizionale regola di retorica nell’esposizione di un argomento insegnatami dal mio insegnante di latino e greco del liceo: «Dico quel che dico, lo dico, dico perché l’ho detto»
Vorrei quindi esporvi brevemente il programma di oggi, ma prima vorrei raccontarvi un aneddoto che risulterà – credo – illuminante solo al termine di questa premessa.

 

Negli anni ‘70 dello scorso secolo – e dello scorso millennio – frequentavo l’Università di Padova assieme a una ragazza che poi divenne mia moglie.
Lei a Matematica, io a Medicina.
Matematica era allora strutturata in un quadriennio: il primo biennio riservato agli insegnamenti fondamentali e il successivo riservato agli approfondimenti.
Nel primo biennio gli esami fondamentali erano su quattro materie: algebra e analisi, geometria e fisica.
Nel secondo biennio c’erano materie come analisi superiore (arrivava allora sino ad analisi sette), algebra di Boole, meccanica razionale, teoria della probabilità, teoria dei numeri, metodi di calcolo, ricerca operativa, teoria della programmazione ecc.
Tutte le materie del primo biennio erano suddivise in due esami: analisi uno e analisi due, algebra uno e algebra due e così via.

 

Mia moglie mi chiese, in una pausa delle mie lezioni, di accompagnarla alla prima lezione di analisi uno tenuta dal prof. Andreazzo, assistente dell’allora ordinario di analisi: il prof. Tullio Valent.
Già la precedente lezione – la prima dell’anno accademico di algebra uno – si era notevolmente distinta.
Era stata tenuta dall’ordinario della materia, il prof. Benedetto Scimemi, il quale in avvio di lezione disse, con estrema noncuranza, rivolto alla platea degli studenti: “Guardate i compagni che avete a fianco, perché tra sei mesi non ci saranno più.”

 

La facoltà di Matematica dell’Università di Padova era famosa a quei tempi per avere una percentuale di abbandoni a sei mesi di più dell’80% degli iscritti.
Le tesi di laurea venivano incrementate nella loro valutazione dal cosiddetto «premio patavino» che consisteva nell’aggiungere d’ufficio dodici punti alla valutazione finale per non abbassare talmente le medie delle votazioni finali da rendere fortemente penalizzante un eventuale confronto con i laureati delle altre università.

 

Questo tanto per dare l’idea dell’ambiente del Seminario Matematico che curava l’insegnamento delle materie base anche per altri corsi di laurea; oltre a matematica: fisica, astronomia, ingegneria e scienze varie (biologia, geologia, scienze naturali ecc.).
A questo proposito se ci sarà tempo alla fine del seminario vi racconterò un altro curioso episodio avvenuto nella facoltà di Astronomia per l’insegnamento di Meccanica Celeste.

 

Tornando a noi, dopo la raggelante frase dell’ordinario di algebra, veniva la prima lezione di analisi uno e l’assistente iniziò a riempire le lavagne con file interminabili di equazioni.
L’aula era una di quelle vecchio stile: banchi a gradinate con otto lavagne su due file a scorrimento verticale poste sul muro dietro la cattedra.

 

Tutto il programma di analisi del liceo venne riassunto in meno di tre minuti.
Quindi l’assistente cominciò a illustrare a raffica il nuovo programma.
Dopo cinque minuti di smarrimento uno studente sollevò la mano e cercò di attirare l’attenzione del docente.
Il professore accortosi della cosa si interruppe, quasi meravigliato, e rivolse allo studente un laconico: “Dica!”

 

Lo studente disse che non aveva capito alcuni degli ultimi passaggi e chiese se fosse possibile ripeterli.
La risposta del docente fu questa volta molto più che raggelante.
Disse: “A lezione non si viene per imparare, ma per prendere familiarità con la terminologia”
Dopodiché si girò verso le lavagne e riprese sparato da dove si era interrotto.

 

Manco a dirlo, non ci fu più alcuna interruzione e alla fine della lezione le otto lavagne erano talmente piene di annotazioni che molti studenti rimasero lì un’altra ora per riportare le annotazioni dell’insegnante sui loro quaderni di appunti.

 

Questo aneddoto per dire che nelle prossime cinque ore di seminario cercherò di esporre il programma fin dove sarà possibile ma che non tutto potrà essere recepito immediatamente.

 

Pertanto vi suggerisco, se la cosa vi interesserà, di recuperare eventuali concetti dalla dispensa che vi è stata consegnata.
La dispensa contiene anche delle brevi indicazioni finali su dove reperire eventuale materiale per la formazione e l’approfondimento.
L’ultima ora vorrei comunque riservarla agli eventuali quesiti, fermo restando che se qualcuno vuole intervenire, si senta libero di farlo.

 

Sono stato invitato dall’Associazione «XYZ» per parlarvi, in sintesi, di «ABC».
L’esposizione non sarà di tipo argomentativo, se non marginalmente, ma piuttosto di tipo classificatorio-terminologico.
Insomma una lezione di Botanica o di Sociologia, non una lezione di Analisi matematica.
Qualcosa che aiuti a mettere ordine concettuale in quello che possiamo vedere tutti i giorni osservando i nostri cani.

 

Detto questo, partiamo.