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Le scienze naturali

  30 gennaio 2020

Scienze naturaliSono molto grato ai miei insegnanti di scienza per avermi stimolato, sin da giovane, a coltivare i miei interessi «naturalistici». I ricordi più remoti risalgono a prima della frequenza alle scuole elementari, quando passavo le mie giornate nel vallone dell’ex alveo del fiume a caccia – con la mia retina – di farfalle e libellule. Per non parlare della collezione di conchiglie raccolte al mare e nella laguna durante le estati.

 

Oppure passavo il tempo a caccia di bisce, ramarri, orbettini e lucertole sull’aia o nell’orto. Il pezzo più «grosso» fu un “carbonàsso” (Hierophis viridiflavus) di quasi due metri individuato in mezzo ad un campo di canna da zucchero (sì, a quei tempi si coltivava ancora la canna da zucchero) durante la mietitura, grazie a cui mi guadagnai l’onore di tornare a casa in groppa ad Aldo, il mastodontico cavallo nero – un ungherese da tiro – di proprietà di mio zio. Aldo contemporaneamente a me (che pesavo qualche chilo) trascinava anche un enorme carro – per un peso di non so quanti quintali – con tutte le canne mietute.

 

Oltre alle tartarughe, ai tritoni, ai ramarri e altre amenità, inflitte alla maestra delle elementari, che veniva dalla città e che era terrorizzata dalla presenza di tutte queste bestie selvatiche portate a scuola, spesso si arrivava in classe con qualche animale domestico. Per animale domestico, vivendo in campagna, non mi riferisco solo a cani e gatti ma anche a conigli, gallinelle, topi, capre e una volta addirittura un maialino.

 

Quando arrivai alle medie divenni un assiduo frequentatore dell’aula di scienze. Lì imparai ad usare il microscopio e a documentarmi sulle enciclopedie e sui testi specializzati di botanica e zoologia. Divenni anche un appassionato di documentari scientifici che per me erano meglio di un thriller di qualità. Passai anche un po’ di tempo a piantumare il parco della scuola, sempre, con il mio professore di scienze – che non rividi più dopo la terza media – e a cui credo vada attribuito il merito di avermi instillato una visione «estatica» della natura e dei suoi prodigi.

 

Durante quel periodo gli unici regali che apprezzavo erano libri sugli argomenti che tanto mi appassionavano: le tecniche di pesca, gli animali, le piante ma anche altri argomenti legati alla natura, come l’oceanografia, la meteorologia, le tecniche di vita all’aria aperta e all’orientamento. Insomma tutto quello che avrebbe potuto trasformarmi in un buon trapper. E poi cose molto più vicine al mio spirito di avventura, come i romanzi sui pirati e quelli avventurosi in genere.

 

Invece per un compleanno mi regalarono un orologio, che comunque avrei barattato volentieri con una bussola o un cannocchiale, ma era comunque un oggetto misterioso che sembrava interessante e mi faceva sembrare più «grande» di quello che ero.

 

Al compleanno successivo ebbi anche in regalo la mia prima bici «da adulto». Inizialmente ero costretto a fermarmi agli incroci scendendo dalla sella per mettere i piedi per terra. Tenevo una gamba piegata al ginocchio appollaiata sul ferro perché i miei arti inferiori non erano ancora abbastanza lunghi per raggiungere terra se stavo seduto sulla sella.